43 anni fa veniva approvata la storica legge Anselmi con la quale si stabilì la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. Uno sguardo alla situazione di oggi sulla differenza retributiva e al fenomeno del “glass ceiling”
Il 9 dicembre 1977 il parlamento italiano approvò la legge 903, meglio nota a tutti come legge Anselmi: attraverso questa norma si stabilì la parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, vietando ogni tipo di discriminazione di genere e le relative limitazioni sull’accesso a qualsiasi tipo di lavoro. A promulgarla fu la democristiana Tina Anselmi, all’epoca ministra del lavoro, prima donna a ricoprire il ruolo di ministro della Repubblica nel 1976, da sempre considerato ad appannaggio esclusivamente maschile. Casualmente, la legge fu emanata lo stesso giorno in cui il governo italiano nel 1926 approvò una legge in materia di concorsi scolastici con la quale negò alle donne l’accesso all’insegnamento della filosofia, dell’economia e della storia nelle scuole secondarie. Di passi in avanti se ne sono fatti indubbiamente tanti, ma a 43 anni dall’approvazione della legge Anselmi la battaglia sulla parità di retribuzione fra uomini e donne non solo è ancora aperta, ma si continuano a manifestare sul posto di lavoro fenomeni di discriminazione nei confronti delle donne, dal mobbing al “glass ceiling”, (il cosiddetto soffitto di cristallo).
L’espressione tetto di cristallo, dall’inglese glass ceiling, viene utilizzata come metafora per indicare una situazione nella quale l’avanzamento di carriera o la parità di diritti vengono impedite per discriminazioni di origine o razziale o di genere. Il fenomeno colpisce moltissimo le donne, alle quali viene impedito di raggiungere posizioni apicali e dirigenziali all’interno di contesti aziendali o organizzativi di qualsiasi tipo. Per comprendere la gravità del fenomeno nel 2013 venne creato dal settimanale The Economist il Glass-Ceiling Index, ossia un indicatore del ‘soffitto di cristallo’ in 29 paesi. Da quell’anno al 2019 i miglioramenti sono stati davvero scarsi (i Paesi dove avviene di meno sono Svezia, Norvegia, Islanda, Finlandia e Francia) soprattutto per quanto riguarda le discriminazioni inerenti la differenza di salario: dai dati emerge che il divario che subiscono le donne sul posto di lavoro rimane stabile, con una differenza retributiva media per le donne che lavorano a tempo pieno di circa il 14% in meno degli uomini.
La differenza di salario fra donne e uomini è stata definita come “gender pay gap”: a calcolarla è stata l’Eurostat, che attraverso tre indicatori è riuscita a calcolare l’effettivo divario fra il salario maschile e quello femminile. La differenza riguarda sia i contratti a tempo indeterminato ma, soprattutto, quelli a tempo determinato, nei quali le donne sono le più sfavorite sia in termini di stabilità che di pagamento. Inoltre, un altro dato che desta forte preoccupazione è quello che riguarda il gap che si consolida sempre più fra la laurea e il primo lavoro:
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