Intervistato da Mario Luzzatto Fegiz per corriere.it, Red Canzian ha raccontato il suo Stefano D’Orazio.
Amico, socio, collega.
Un fratello, come ricordato nel post su Facebook condiviso da lui e dagli altri Pooh a ridosso della notizia della sua morte.
Red Canzian ha raccontato in prima battuta il decorso della malattia:
“Non si è mai preparati alla morte di un amico. Stefano aveva la capacità di ridere anche nelle situazioni più difficili. Soffriva di piccole infiammazioni e lo curavano col cortisone. E il Covid-19 ha trovato terreno fertile… infatti è sopraggiunta una polmonite, febbre alta, dialisi per insufficienza renale. Alle 22 di venerdì la notizia: Stefano era morto dopo una settimana di alti e bassi. Da 36 ore non facciamo altro che piangere”.
Alla semplice domanda su chi fosse Stefano D’Orazio, la risposta dell’amico Red è lusinghiera:
“Lui è stato un riferimento costante per i Pooh. Aveva un pensiero forte, che volava alto, proiettato verso il futuro, una capacità di analisi e sintesi invidiabile. Per lui il lavoro era un gioco. Lui sapeva sempre cogliere il lato comico delle situazioni. L’ironia era una sua caratteristica. Una bella persona, un grande professionista. Non aveva la mentalità dell’orchestrale, non ha mai operato nell’ottica “prendiamo quello che c’e’ da prendere”, ma ha pensato agli investimenti, a volte anche più alti dei guadagni, e questo ci ha fatto arrivare al 50ennale. Era un imprenditore”.
Lo sottolinea a più battute, quanto fosse, al di là dela musica, un grande professionista – di grande trasparenza:
“Era una persona precisa, trasparente sensibile. Il contrario dello stereotipo sui romani, era preciso, puntuale. La macchina organizzativa dei Pooh era opera sua. Non c’era limite alla sua creatività: i palchi enormi, i fumi, i laser, i Tir carichi di apparecchiature. Era un piacere lavorare con lui. Il suo motto era “divertirsi” costi quel che costi. A volte gli allestimenti costavano più di quel che i concerti incassavano. Ma in questo luna park i Pooh si scatenavano e generavano entusiasmo”.
Un entusiasmo che adesso è sostituito dal dolore.
Dolore condiviso da tutti i componenti del gruppo.
Come ha dichiarato Dodi Battaglia:
“Qualcuno obiettava che non era un grande batterista (anche se su Rolling Stone si è dimostrato il contrario, ndr). Ma neanche Ringo Starr lo era. Eravamo compenetrati e complementari: Roby caparbio, io musicista emiliano, Red persuasivo e lui… simpatico cazzaro. Provo un dolore che non sparirà mai: tutte le volte che lo vedrò in tv o vedrò parcheggiata una jaguar bianca come la sua, la ferita continuerà a bruciare“.
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