Siamo di fronte ad un’ondata di contagio peggiore della prima.
Questa l’opinione parafrasata di Nino Cartabellotta, presidente del GIMBE, fondazione che promuove la diffusione e l’applicazione delle migliori evidenze scientifiche con attività indipendenti di ricerca, intervenuto oggi in audizione alla commissione Sanità del Senato.
Il motivo di questa riflessione è da ricercare nello sviluppo dei contagi: “C’è un coinvolgimento del centro sud, che ha servizi sanitari più fragili, abbiamo di fronte 4-5 mesi d’inverno, c’è la pressione data dall’epidemia influenzale, il personale sanitario è meno motivato e ci sono attriti tra governo e enti locali che impediscono di prendere le misure più opportune “.
Il problema dunque sarebbe la mancanza di strutture adeguate ad affrontare i ricoveri ed in particolare il numero di posti di terapia intensiva che molte regioni possono contare. Per Cartabellotta l’Italia sta rincorrendo il virus anziché anticiparlo: “Siamo in ritardo con i Dpcm, stiamo andando verso il lockdown totale perché non siamo in grado di valutare gli effetti delle misure introdotte con i vari decreti. Bisogna notare che anche un lockdown totale da solo permette di ottenere una riduzione del 50% dei casi al ventottesimo giorno“.
C’è poi una critica alla difficoltà di ottenere dati trasparenti: “La legge assegna all’Istituto Superiore di Sanità la sorveglianza utilizza una piattaforma che è ad accesso riservato, i ricercatori indipendenti non possono fare nessuna ulteriore ricerca. L’altro aspetto è il monitoraggio degli indicatori del 30 aprile 2020, il report non è pubblico, periodicamente emerge attraverso organi di stampa ma è riservato. Riteniamo che rispetto al report è opportuno che vengano resi pubblici i contagi per comune, mentre ora li abbiamo solo per provincia”.
Ed è proprio riguardo a questo che il presidente della GIMBE auspica una maggiore collaborazione con il governo affinché si possa ottenere un migliore monitoraggio della curva di contagio: “Si dovrebbe rendere accessibile il database in formato open data, mentre per il monitoraggio della fase 2 si dovrebbero rendere pubblici i report ed espliciti e riproducibili i criteri per l’attribuzione del livello di rischio “.
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